29 marzo 2008

Spunti di riflessione - 17: infermieri, professione a rischio

Ho ricevuto una lettera dal rappresentante valdostano del sindacato infermieri sul difficile stato di salute della professione, in Italia come in Valle d'Aosta, e ho deciso di dare spazio a questo scritto sia sul Corriere della Valle della prossima settimana che sul blog, allargando così ulteriormente quello spazio che ultimamente ho iniziato a dedicare alle professioni. Da questo scritto emerge che nella nostra regione sarebbero necessari altri 70-90 infermieri.


Come parafrasare l’odierna attività del professionista infermiere?
Una formazione di livello universitario, la formazione continua, una grande responsabilità, un elevato carico di lavoro, la mancanza di un adeguato recupero psico-fisico, un elevato rischio di errore, una eccessiva burocratizzazione dell’attività, il tutto abbinato ad un inadeguato riconoscimento economico (siamo molto al di sotto delle medie europee) e di ruolo all’interno della sanità, con scarsa possibilità di intraprendere dei percorsi di carriera clinica/organizzativa. Nei prossimi anni dovremo affrontare l'acuirsi dell' emergenza infermieristica, il trend annuale di infermieri che cessano l’attività a livello nazionale è di 13.000 unità all’anno, a fronte dei circa 6000 che si laureano in università in sostituzione degli stessi. Secondo i dati raccolti dall’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in Italia ci sono attualmente 5,4 infermieri ogni mille abitanti, la metà di quelli proporzionalmente attivi in Inghilterra e Germania (rispettivamente 9,1 e 9,7 per mille) ed addirittura un terzo rispetto a quelli presenti in Irlanda. Pur essendo la 5° potenza del pianeta in termini di sviluppo economico, come rapporto infermieri/pazienti (5,4 infermieri ogni mille abitanti) siamo oltre il 40° posto a livello mondiale. La letteratura americana evidenzia che preoccuparsi degli infermieri non è inutile, ma contribuisce a diminuire i tassi di burn out tra il personale infermieristico e quindi ad aumentare la probabilità di trattenere in sevizio i professionisti sanitari, migliorando nel contempo il loro livello di soddisfazione e il risultato sul paziente. Degno di nota è come in America sia stata positiva l’esperienza degli ospedali denominati “magnete” o “calamita”, cioè capaci di attrarre e trattenere i professionisti infermieri.
A fronte di quanto esposto devo sottolineare (a malincuore ) che la nostra realtà regionale, anche se più rosea di altre regioni italiane, non si sottrae ai numeri che contraddistinguono la così detta carenza infermieristica.
Ovvero anche in Valle d’Aosta mancano infermieri. Tabelle alla mano, se pur con variabili correttive del caso, organismi autorevoli come l’O.C.S.E e/o l’IP.AS.VI (collegio degli infermieri ) hanno calcolato una carenza locale di circa 70-90 unità.
Cifra piccola se osservata a se stante ma se debitamente correlata al numero di dipendenti del comparto sanità della nostra regione (1500) e/o al numero di infermieri operanti (circa 800) si capisce come tanto irrisoria non lo sia.
Come se ciò non bastasse, la difficoltà di reperire personale infermieristico qualificato (come sottolineato nella delibera del D.G. Azienda USL Valle d’Aosta n° 284 del feb-2008) comporta un incongruo utilizzo di alcuni operatori.

Un esempio tra tutti? I tecnici di centrale 118, che svolgendo attività sanitarie complesse (non di loro competenza) e grazie alla sopra citata delibera aziendale in barba a titoli accademici e formazione specialistica, da oggi verranno retribuiti come dei veri professionisti infermieri.
A questo scenario abbastanza grottesco si aggiunge la condizione precaria dei lavoratori dipendenti di Agenzia interinale.
Infatti circa Il 10% degli infermieri operanti in Valle d’Aosta sono di nazionalità straniera e come tali operano alle dipendenze di codeste S.p.A.. Professionisti lontani da casa (a volte per scelta a volte per esigenza), che si vedono rinnovare il contratto di sei mesi in sei mesi (o di anno in anno), con un impatto sulla qualità della vita personale ed organizzativa devastante.
Se a loro aggiungiamo i libero professionisti (pagati al minimo, se non al di sotto, dei valori tabellari del tariffario redatto dalla Federazione Nazionale IP.AS.VI) o peggio i professionisti sanitari assunti con contratto co.co.co ormai co.co.pro si può ben capire la complessità e gravosità della situazione infermieristica valdostana.
Forse al cittadino valdostano risulta difficile credere a queste poche righe o rendersi conto dello stato di sofferenza in cui verte la professione infermieristica, ma questo fa onore agli infermieri perché vuol dire che i loro sforzi quotidiani messi in atto, per non far gravare sulla salute dell’utenza i problemi economici – organizzativi - politici fin qui esposti, sono inconfutabilmente efficaci. Ma a che prezzo? Fino a quando gli infermieri riusciranno a sopperire a queste insufficienze strutturali?
Ricordiamoci che gli infermieri, ancor prima di essere dei professionisti sono esseri umani. Soggetti (e non oggetti) da prendere in carico prima che si logorino completamente. E’ condizione imprescindibile invertire rotta al più presto smettendo di considerarli dei semplici ed automatici distributori di prestazioni sanitarie, trasformandoli in parte integrante ed attiva delle strategie socio sanitarie regionali. Occorre che la politica nazionale (non importa segno, colore e/o simbolo) e quella locale mettano in essere una pluralità di interventi, finalizzati a rendere attrattiva per i professionisti sanitari l’attività lavorativa all’interno del sistema sanitario italiano e nello specifico quello valdostano.
Solo così si muoveranno i primi passi verso la risoluzione della tanto chiacchierata carenza infermieristica di cui tutti parlano, ma in realtà molto pochi se ne occupano.


Dirigente ref. Nursing Up Valle d’Aosta
Infermiere Giovan Battista De Gattis

1 commenti:

Massimo on 29 marzo 2008 alle ore 02:33 ha detto...

Sono infermiere 118 e vi dico perchè sia giusto che in Italia gli infermieri manchino. Bisogna studiare moltissimo per diventare e fare tirocinio durante l'estate. -Siamo personale laureato e pagati come oparai specializzati. -Con 2 figli a carico e 20 anni di servizio guadagno 1600 euro al mese comprese notti e festivi. -Ho responsabilità personali e la mia formazione deve essere continua per seguire l'evoluzione delle pratiche mediche e le tecnologie ad esse collegate. -Corro continui rischi per contatto a ogni tipo di patologie che potrei pure portare e veicolare ai miei familiari. -Corro continui rischi per la tipologia di lavoro in ambulanza.Proprio ieri due miei colleghi si sono ribaltati con l'ambulanza (senza paziente per fortuna)e anche se illesi sono sotto shock. -La considerazione sociale di questa professione è pari a zero perchè solo in Italia solo al medico tutto è dovuto... -Il potere sindacale della categoria è pari a zero perchè a noi ci precettano e non possiamo fermarci per "garantire solo l'emergenza" perchè per noi è sempre emergenza. -Siamo sempre sotto organico, stressati, demotivati,inascoltati. -Dovrei pure nei miei rari riposi gironzolare per convegni per fare crediti di formazione (ECM)il tutto naturalmente a mie spese. Ce qualcos'altro che dovremmo fare? Naturalmente sempre con il sorriso sulla bocca per tranquillizzare i pazienti e i medici? Sarà per questi e altri motivi che quasi l'70% degli infermieri vorrebbe cambiare lavoro? Sarà per questi e altri motivi che i giovani preferiscono qualsiasi altro lavoro? Ditemi un po voi perchè io sto seriamente pensando di mandare tutto e tutti al diavolo...

 

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