26 ottobre 2008

Soeur Emmanuelle: la ricchezza della povertà (1)

«Una donna di fede e una donna di azione che aveva fatto dell’amore per i diseredati e per i poveri la missione della sua esistenza ». Così il Presidente del Consiglio Alberto Cerise ha voluto rendere omaggio a Soeur Emmanuelle deceduta domenica notte all’età di 99 anni.
Le strade di Suor Emmanuelle avevano incrociato quelle della nostra regione nel 2000 quando il Consiglio regionale aveva assegnato alla suora, in occasione della premiazione della donna dell’anno, la menzione di «Donna del secolo », motivando così la nomina: «Un’avventura umana capace di risvegliare e provocare gli animi, di squarciare il velo opaco del già visto e già inteso, al di là di ogni fede e ogni convinzione politica. Un esempio splendido d’amore che va al di là di ogni frontiera e differenza». In quell’occasione per il Corriere della Valle ho avuto l’occasione di fare una lunga intervista alla religiosa che oggi con piacere riporto sul numero di questa settimana e che offro anche al popolo della rete, divisa in due puntate. Il tema non è economico, ma l'attenzione agli altri, la generosità, l'altruismo, la felicità vera sono beni di cui davvero ci sarebbe bisogno di una produzione industriale.

Che cosa ha pensato quando hanno scelto il suo nome per essere premiata come Donna dell’anno?
Sono rimasta stupita perché in Italia sono stata chiamata pochissime volte. Mi sono chiesta perché gli italiani volessero premiare Soeur Emmanuelle, straccivendola del Cairo.

Ha ancora dei legami con le Bidonvilles egiziane?
Sono appena tornata. Un mese fa ero lì. Le tre bidonvilles, dove ho vissuto per 22 anni, sono per me i luoghi più meravigliosi del mondo. Lì l’uomo non ha niente perché vive in capanne. Anzi in effetti devo dire che vivevano in capanne. O meglio, dovrei dire viveva poiché ora che abbiamo
terminato la nostra opera ha finalmente degli alloggi. Non ci sono negozi, cinema, nulla di ciò che interessa all’Europa o all’America, ma, secondo me, in realtà c’è tutto poiché le persone vivono tra di loro relazioni fraterne. In una bidonville tutti si conoscono. Le porte sono sempre aperte. Non ci sono tre serrature come in Francia per difendere la propria casa. In Occidente non ci si conosce da condominio a condominio, mentre là tutti si guardano in viso, tutti si sorridono.

In uno dei suoi libri lei ha scritto che l’amore più che sentimento è soprattutto azione. Oggi potremmo dire che di questa azione sembrano avere sempre più bisogno le società ricche dove sembra esserci sempre più povertà anche se è una povertà tutta particolare…
E’ una buona domanda. E’ esattamente quello che penso. In proposito sto scrivendo un libro:«Richesse de la pauvreté » (Ricchezza della povertà) dove spiego che la ricchezza talvolta «svalorizza» l’uomo, gli fa perdere la sua essenza umana cioè quella di essere fratello degli altri uomini, perché siamo fatti dello stesso sangue e della stessa carne, mentre la povertà dà all’uomo la sua essenza completa d’uomo. Senza la continua ricerca della ricchezza, o dei piaceri, l’uomo si apre naturalmente ai fratelli. La ricchezza sfortunatamente arriva sovente a far perdere all’uomo quello che ha di più prezioso: quell’amicizia, quell’apertura, quel cuore, quello spirito che lo porta ad aprirsi verso gli altri. Devo ammettere di essere rimasta estremamente colpita dal fatto che nelle tre bidonville dove non c’era nulla, salvo delle capanne ottenute da vecchi bidoni bucati, non c’era nessuna comodità eppure si rideva molto, tutti si conoscevano, ci si amava tanto. La vita lì non era veramente una vita sfortunata. Nel 1983 sono tornata in Europa e ho trovato tutti che si lamentavano. Fra gli straccivendoli nessuno si lamenta. Si prende la vita così com’è. Qui sento tutti che borbottano per i più svariati motivi: il marito, i bambini, il lavoro, l’auto, la benzina, le tasse, il governo. La gente non è felice, non sta così bene come i miei poveri nelle bidonville e allora mi sono posta un problema. Che cos’è e dov’è la felicità dell’uomo? E sono giunta alla conclusione che proprio là dove non c’è niente l’uomo sembrerebbe più felice perché è uomo fino in fondo, libero di vivere relazioni semplici, fraterne, quotidiane, disponibili verso gli altri uomini. (continua)

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