9 giugno 2017

Girardi e Faccenda (#Deltasider): «Quando a Verrès era di casa l'arte moderna»

Da sinistra Giorgio Girardi, Valerio Faccenda e Giò Pomodoro
Questa settimana proponiamo l'intervista a Giorgio Girardi, e Valerio Faccenda, entrambi con un passato da dirigente Deltacogne, e accomunati dall’esperienza della fonderia artistica presso la Verrès spa. Un tema tornato di attualità visto che in una Giunta di fine aprile è stato approvato, su proposta dell’Assessorato del bilancio, finanze patrimonio e società partecipate di concerto con dell’Assessorato delle attività produttive, energia, politiche del lavoro e ambiente, l’accordo di collaborazione con l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a.(IPZS s.p.a.) per lo sviluppo industriale e la valorizzazione degli immobili regionali acquisiti dalla società Verrès S.p.a. Quest’ultimo provvedimento prevede un ampliamento della collaborazione già in essere introducendo l’avvio di una nuova linea di produzione di targhe per autoveicoli, motoveicoli e ciclomotori, attraverso un investimento stimato di circa 12 milioni di euro e con una ricaduta occupazionale per 25 persone. E’ prevista la disponibilità di un fabbricato coperto a uso stabilimento, con un’estensione pari a circa 2.500 mq, di cui al momento l’Istituto Poligrafico è sprovvisto. Dal passato arrivano però delle suggestioni che non vogliamo ignorare.

Entrambi lavoravate in Deltasider. Con che ruoli?  
Faccenda: Giorgio Girardi era un Direttore Deltacogne, responsabile dello stabilimento di Verrès, io ero un dirigente Deltacogne, responsabile della Ricerca e Sviluppo dell’intero gruppo. Per le sue caratteristiche, le dimensioni ed il fatto di essere sempre in utile , lo stabilimento di Verrés godeva di una notevole autonomia gestionale, specie se confrontato con lo stabilimento di Aosta.

Producevate tondelli, monete. Industria pesante tanto per capirci ma ad un certo punto vi aprite ad una esperienza nuova. Quale? 
Girardi: Alla Verrés esisteva un impianto industriale per il colaggio a cera persa, che aveva un discreto utilizzo con la produzione di pezzi per l’industria automobilistica, in particolare precamere di combustione per motori diesel (IVECO). Per saturare l’impianto si erano esaminate varie strade: particolari per l’industria nautica, che però si rivelarono di scarso interesse (piccole quantità), biomedicale (protesi dell’anca), dove si riuscirono a produrre pezzi di ottima qualità. Ma il biomedicale si rivelò un settore molto chiuso: praticamente impossibile entrarci, in particolare per un newcomer quale la Verrés era. A quel punto si è pensato alle fusioni artistiche, in un primo momento per la produzione di oggetti che promuovessero l’immagine della Deltacogne (omaggistica, ecc). Si è aperta la collaborazione con uno scultore valdostano, il prof. Ferdinando Regazzo, che è stato fondamentale per sviluppare la sensibilità artistica del laboratorio e si è cominciato a produrre piccoli oggetti. In questa prima fase un buon successo venne riscosso da una fibbia per cintura, firmata, che vedeva una piacevole interpretazione di Regazzo dell’uomo Vitruviano. Niente era fatto per caso: l’idea della fibbia era frutto di un’indagine di mercato che aveva dimostrato che un oggetto che si indossa tutti i giorni era il più indicato per richiamare l’immagine dell’azienda che lo produceva. Le fibbie erano prodotte sia in acciaio inox, che in bronzo. Alle fibbie seguirono altri oggetti di dimensioni sempre maggiori: soprammobili vari, come cavalli, galletti, colombe, sempre di Regazzo, tutti in acciaio inox. Molti di questi oggetti furono donati dalla Deltacogne a vari personaggi dell’amministrazione regionale.

Poi ci sono stati i primi contatti a livello nazionale…
Faccenda: Il passo successivo è stato quello di cimentarci con uno scultore molto noto in ambito nazionale: Paolo Baratella. Con lui si produsse il giuoco degli scacchi: gli opposti schieramenti, così come la scacchiera, erano in acciaio inox ed in bronzo. La scacchiera era in riquadri staccati, che venivano ricomposti al momento della partita. Opera molto bella e di valore, che è stata donata dalla Regione anche al Presidente della Repubblica in occasione di una sua visita in Valle. Con Baratella, nel tempo, vennero fatte varie altre opere, tutte di successo, Tra le quali due omaggi per il Papa Vojtyla in occasione delle sue visite a Les Combes. L’ultima di queste opere, nel 1989, fu una bellissima reinterpretazione della grolla d’oro, il prestigioso premio di St. Vincent, utilizzata negli anni 1989 e 1990. Nella seconda metà degli anni ’80 si collaborò anche con gli scultori Bruno Cassinari e Umberto Mastroianni, con buoni risultati. Oramai si era maturi per entrare a pieno titolo nell’artistico. Ma mancava la conoscenza del mercato. A questo proposito ci si è rivolti ad un importante gallerista di Torino, Gian Alvise Salamon, appartenente ad una nota famiglia di mercanti d’arte piemontese. Nasce così l’idea dei multipli. I multipli sono copie certificate e firmate di importanti scultori, che possono andare da un minimo di tre a cento ed oltre. Maggiore è il numero, minore è il valore, come avviene, per esempio, con le stampe. I multipli non erano cosa nuova nel settore: Pietrasanta, in Toscana, produce multipli in bronzo. La novità era la produzione artistica di oggetti in acciaio inox. E Verrés si sarebbe dovuta affermare come produttore di multipli in acciaio inox.

Come siete arrivati a questo progetto che in un rapporto del gennaio 1988 chiamavate “Tecnologia ed Arte in Valle d’Aosta»?  
Girardi: Dovevamo accelerare l’ingresso della fonderia in un settore piuttosto chiuso come quello artistico. Ma non sapevamo come fare. Era il 1988, anno della 43esima Biennale di Venezia. Si pensò ad un’idea molto ambiziosa: partecipare alla Biennale, facendo sponsorizzare la sezione scultura dalla Regione. Sarebbe stata la prima volta che una regione sponsorizzava la Biennale. Si era in un periodo elettorale. Riuscimmo ad ottenere l’attenzione della Regione e si ottenne il finanziamento dell’operazione. A questo punto bisognava produrre le opere d’arte e mancavano pochissimi mesi all’inaugurazione della Biennale. Si tenga presente che alla Biennale possono partecipare solamente gli artisti selezionati dalla direzione della Biennale stessa. Per cui corsa a contattare i vari scultori, tentando di convincerli a fare delle opere in acciaio inox, raccogliere le opere ed iniziare a produrle. Cosa non semplice, soprattutto per il blocco mentale degli artisti ad utilizzare un materiale per loro sconosciuto, come l’acciaio inox al posto del tradizionale bronzo. Si riesce comunque ad ottenere opere da nomi importanti: Arnaldo e Giò Pomodoro, Andrea Cascella, Massimo Chia, Mimmo Paladino, Mario Ceroli, Ievolella, il sudamericano Joachim Roca Rey, il giapponese Nagasawa. Tutte queste opere dovevano essere pronte in tre mesi, per essere esposte nel padiglione della Regione, un’originale struttura in legno all’ingresso dei giardini della Biennale. Si tralasciano le difficoltà che si sono dovute superare. Va ricordato solo che non ritenevamo che si sarebbero incontrati problemi dal punto di vista della qualità finale, abituati come eravamo alla qualità richiesta dai particolari meccanici, che venivano prodotti quotidianamente. Non conoscevamo gli artisti! Ognuno aveva le sue particolari esigenze di lucidatura, patinatura, ecc. Una volta poi scoperto che l’acciaio inossidabile si poteva colorare, provocando a caldo la formazione di sottili pellicole di ossido, le richieste aumentavano in maniera esponenziale, con i tempi che si andavano assottigliando rapidamente. Comunque, anche se all’ultimo momento, tutte le opere arrivarono ad essere pronte per l’inaugurazione della Biennale ed il successo di critica e di pubblico superò ogni più rosea aspettativa, con piena soddisfazione della Regione e dell’azienda. Tra gli artisti della Biennale che riuscimmo a contattare, c’era anche l’inglese Joe Tilson, che sul momento non aveva da darci nulla che potesse essere colato a Verrés. Ci commissionò in un secondo tempo una sua scultura, la Dafne, che venne prodotta con sua piena soddisfazione. La Dafne, così come la “Corona Ferrea” del Mimmo Paladino, fu una delle due opere colate non in acciaio inox, ma in semplice acciaio al carbonio, perché era richiesto dai due scultori “un aspetto da scavo”. Anche in questi due casi, realizzare in pochi giorni una pellicola di ruggine resistente e del colore voluto, non fu cosa da poco.

Tantissimi artisti contattati ma il progetto?
Faccenda: E’ in questo periodo che nasce il progetto Tecnologia ed Arte in Valle d’Aosta: la partecipazione alla Biennale era solo una chiave di ingresso nel settore. Per creare un vero business era fondamentale un progetto ben articolato e di ampio respiro. Gli obiettivi erano: sviluppare nuovi business economicamente profittevoli e duraturi nel tempo; contribuire alle iniziative di job creation dell’Amministrazione Regionale; contribuire allo sviluppo culturale della Regione Valle d’Aosta nel settore artistico della scultura in metallo; sviluppare l’immagine della Regione e della Deltacogne a livello nazionale ed internazionale. Il progetto era molto variegato. Prevedeva la produzione di multipli e repliche, una scuola di restauro, un artist’s master per la scultura oltre alla partecipazione a mostre e fiere. Era stato preparato un piano industriale e si era studiata la possibilità di collaborare con la fondazione Gianadà della vicina Martigny. Il successo della Biennale era solo un primo passo. La macchina era partita bene, ma ora bisognava guidarla e la strada non era certo in discesa!

Infatti ad un certo punto tutto sembra bloccarsi?
Girardi: Dopo la Biennale l’attenzione della Regione calò rapidamente: si stavano affacciando molti problemi, che richiedevano decisioni rapide e difficili. Dall’altra parte, la Direzione centrale della Deltacogne dava l’impressione di vivere malamente l’attività nell’artistico, considerato, a nostro avviso ingiustamente, quasi un fastidio. Bisogna riconoscere che l’artistico, pur rappresentando una realtà certamente interessante per Verrés e, di riflesso, per la Regione, era un piccolo di cui nel business generale della Deltacogne, per la quale poteva certamente essere una forma di promozione dell’immagine, ma nulla di più. Da parte nostra si cercò di portare avanti l’iniziativa con ogni mezzo, pensando anche ad un’operazione di management buyout dell’intero stabilimento di Verrés. Questo tipo di operazione in quel periodo era piuttosto incentivata. Si cercarono e si trovarono possibili alleanze con altri attori, come la Zecca, partner storico per la monetazione, attiva anche nelle fusioni artistiche.

Un cammino ben avviato. Ma che cosa non funzionò allora?
Faccenda: Quando venne presentata questa possibilità alla Direzione centrale, vi fu una reazione estremamente violenta. Verrés fu letteralmente decapitata. La nuova direzione dello stabilimento   era costituita da personaggi che non avevano mai partecipato all’iniziativa. I rapporti con Fernando Ragazzo si raffreddarono. I nuovi inserimenti nell’artistico, scelti in maniera molto superficiale, non dimostrarono di avere né la capacità, né l’interesse, né tantomeno la competenza, per portare positivamente avanti l’iniziativa. E il tutto si raffreddò rapidamente. La tristezza è che rapidamente ci si è dimenticati di quello che era stato un vero grande successo sia aziendale che della Regione. Cala il silenzio. E si arriva al 2002, quando un dipendente dell’ufficio mostre della Regione scopre delle casse nei magazzini di St Benin contenenti delle sculture in acciaio di cui nessuno sembrava sapere nulla o quasi. Erano le opere che erano state esposte alla 43esima Biennale di Venezia! Non so come si è arrivati fino a noi, ma così si è potuta ricostruire la storia della nostra esperienza. Le opere sono state destinate al museo della Regione al castello Gamba di Chatillon. Le opere per la Biennale erano state prodotte in tre copie: una per l’artista, una per lo stabilimento ed una per la Biennale, di proprietà della Regione.

E oggi sappiamo dove siamo arrivati. Cosa ne pensate?
Girardi: Lo stabilimento di Verrés è andato continuamente declinando. Nel 2014 ricompaiono le opere colate nel tempo a Verrés, tra cui alcune delle copie delle opere colate per la Biennale: viene organizzata un’asta per aiutare le maestranze di Verrés rimaste senza lavoro. Il risultato economico dell’asta, per quanto interessante, va giudicato alquanto modesto e certamente inferiore al valore delle sole opere presentate alla Biennale. Rimane un profondo rimpianto, in particolare nell’animo di chi si era messo in gioco per questa iniziativa. Se da questa idea del Corriere della Valle di “riesumare” il progetto rinascesse un qualsiasi interesse per l’argomento, saremmo felicissimi di mettere a disposizione la nostra esperienza.

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