7 dicembre 2017

Paolo Calosso (Consorzio #Traitdunion): «#Housing e #welfare aziendale sono la nostra nuova frontiera»


Paolo Calosso 

Questa settimana vi propogo l’intervista a Paolo Calosso, presidente del Consorzio Trait d’Union.


Il Consorzio è una realtà economica importante della Valle. Nel 2015, in una precedente intervista il vostro fatturato aggregato era di circa 10 milioni di euro con circa 500 dipendenti. Oggi?
I valori complessivi grosso modo non sono variati. E questo però è anche una grande successo perché se la crisi rispetto ad altri territori qui è arrivata tardi il fatto di essere riusciti a mantenere gli stessi fatturati e lo stesso occupazionale è un grande successo. Ovviamente abbiamo cercato di esplorare nuove aree non ci siamo più interfacciati soltanto con i grandi bandi pubblici ma anche con quelli delle fondazioni bancarie e poi abbiamo esplorato il mercato privato e questo ci ha permesso, anche se con una grossa frammentazione delle attività e dunque con una gestione molto più complessa, di non perdere pezzi sia sul lato del fatturato che dei dipendenti.

Una delle grandi scommesse – immagino – è stata la gestione della Cittadella. Come sta andando?
Sta andando molto bene. E’ un po’ la punta di diamante del Consorzio. Prima di tutto perché ha visto un lavoro corale un po’ di tutte le cooperative e poi perché ha cambiato il volto di quel posto. La Cittadella non è più soltanto un luogo che propone ma anche che accoglie. Dove i giovani, le persone, le associazioni possono proporre le loro attività e trovare professionisti, anche non del nostro settore, che possono accompagnarle nel costruire le loro iniziative. Dunque un posto di scambio dove si costruiscono legami e dove in qualche maniera si realizzano sia le organizzazioni che le persone.

Il rapporto con la pubblica amministrazione nell’ultimo quinquennio si è modificato moltissimo. Quali criticità e quali opportunità sono nate?
Il rapporto si è intensificato sia in termini di scambio che di riconoscimento reciproco. Credo che in realtà così piccole come quella valdostana si debba in base al proprio ruolo, senza sconfinare in situazioni poco chiare, sempre garantendo la massima trasparenza, lavorare fianco a fianco per il bene della collettività. Da una parte emergono sempre nuovi bisogni più complessi e meno definibili in termini di classica analisi dei bisogni. Se non vogliamo trovarci in un pantano dobbiamo ripensare insieme lo sviluppo delle nostre comunità, ma non solo con l’amministrazione pubblica, ma con tutta la società civile. Questa idea non è solo nella mia testa ma è stata anche pensata dal legislatore che con la riforma del terzo settore all’art 55 della legge delega prevede un lavoro di coprogrammazione e coprogettazione che ci vedrà fianco a fianco a ripensare e riprogettare insieme i servizi, cercando di rispondere in modo attento ai bisogni della comunità, che sono cambiati nel corso tempo, ma anche di favorire modalità maggiormente partecipate ed inclusive con tutta la società civile. Un modo nuovo di lavorare che ci riconnette con le comunità con cui lavoriamo. Per tanti anni abbiamo discusso sulla questione della territorialità o meno, cioè se dovevamo andare al di fuori dei confini della Regione, oggi invece viene riproposta fortemente una condizione di forte territorialità dove noi dobbiamo essere il trait d’union tra la società civile e la pubblica amministrazione.

Esperienze sul fronte universitario?

Si continuiamo ad avere scambi con l’Università in quanto abbiamo molto bisogno di ricerca e sviluppo. L’Università in questo è un punto di riferimento e ci sono alcuni docenti con cui abbiamo rapporti costanti anche per connettere l’esperienza di studio con nuove opportunità di lavoro all’interno delle nostre organizzazioni.

Avete intenzione di esplorare nuovi settori?
Si , continuamente, a volte anche con grande fatica e dispendio di energie. Non possiamo rimanere fermi ad aspettare semplicemente l’uscita di un bando, perché questo modo prefigura la fine delle nostre organizzazioni. In questo momento stiamo valutando due aree di investimento: L’area del Food con due cooperative che hanno già da alcuni anni dato l’avvio a produzioni di altissimo livello rivolte al mercato interno, ma anche a quello esterno con accordi con distributori che operano a livello nazionale e con organizzazioni che operano nel settore del commercio Equo. Le due cooperative sono Mont Fallère con Madame Escargot (produzioni di lumache fresche e trasformate in sughi con l’ausilio di un grande chef di fama internazionale che è Mirko Zago) e Enaip con Brutti e Buoni (prodotti da panificazione e dolciari). E l’area del turismo, dove vorremmo proporre una applicazione per device che possa mettere in rete i diversi attori di un territorio definito per arricchire la loro proposta turistica con i nostri servizi rivolti alle persone (assistenza e accompagnamento anziani, bambini e persone con disabilità, ecc). L’idea è quello di trasferire il nostro know how, di gestori di servizi alle persone, nel settore del turismo in modo da arricchire l’offerta turistica e rinforzare un’area strategica per tutta la Valle.

Lei in passato auspicava una maggior contaminazione tra profit e no profit. E’ stato fatto qualche passo avanti in questo senso?
Continuiamo a lavorare in quest’ottica in quanto siamo profondamente convinti che entrambe le aree abbiano qualcosa da scambiare. Da una parte noi dobbiamo imparare dall’imprenditore classico, che lavora sui mercati ordinari, come si lavora in termini di economicità, di efficienza, di performance; dall’altra parte noi possiamo però portare un modello che è inclusivo e tiene conto della domanda e dell’offerta in maniera integrata. A brevissimo partirà un’esperienza che ci vede insieme con la Cofruit per la vendita e la promozione dei prodotti del nostro territorio all’interno del mercatino di Natale. E’ un’operazione molto interessante in quanto si va a consolidare i produttori locali attraverso la possibilità di avere uno sbocco commerciale. Secondo noi è una operazione di senso perché parte dalle specialità di questo territorio e le rende accessibili anche alle persone che vengono da fuori e che vogliono portarsi a casa un pezzo di Valle d’Aosta.

La recente Settimana sociale dei cattolici di Italiani si è occupata del tema del Lavoro. C’è qualche suggestione che vi è parsa interessante per la vostra attività?
Posso dire che la Diocesi di Aosta è stata in questo molto innovativa. Da quattro anni con la Diocesi stiamo portando avanti un progetto interessante che prevede l’integrazione di alcune persone all’interno di percorsi di inserimento lavorativo. Abbiamo costruito dei cantieri apposta in modo che le persone non percepiscano un semplice contributo magari per pagare la bolletta o integrare il loro reddito per far fronte alle difficoltà giornaliere che hanno, ma abbiamo loro dato una riposta in termini lavorativi. Dove? Direttamente nelle comunità. All’interno delle parrocchie. In modo che loro possano riacquistare dignità ed essere visti come lavoratori capaci e che possono contribuire ad un bene comune perché le parrocchie sono vissute non soltanto dalle persone che frequentano la Chiesa, ma da tutti attraverso gli oratori, le famiglie, i ragazzi.

Adesso su cosa state lavorando? Progetti futuri?
Si tratta di alcune iniziative che escono un po’ dai progetti classici su cui lavoriamo normalmente. Prima di tutto il Progetto dello Sprar , una servizio di accoglienza integrata rivolto ai richiedenti asilo, basata su progetti sviluppati assieme agli enti locali, che prevede iniziative di integrazione all’interno delle comunità e di avviamento al lavoro. E poi l’ Housing sociale, dentro al quale stanno aree diverse. Non soltanto la fragilità legata all’abitare ma anche il turismo o gli studenti. L’idea di favorire un maggior accesso alla casa o a soluzioni abitative innovative (co-housing) per persone che si trovano in situazioni di difficoltà temporanea legate alla precarietà del lavoro o ad altri soggetti che per qualunque motivo cercano soluzioni abitative temporanee e non definitive. Un’altra area interessantissima è quella del Welfare aziendale. C’è stata una riforma fiscale che garantisce la defiscalizzazione dei benefit e delle prestazioni che l’azienda eroga per migliorare la qualità̀ della vita e il benessere dei dipendenti e dei loro familiari. Rispetto all’erogazione in denaro, non sono soggetti a tassazioni e hanno un evidente e immediato risparmio economico sui premi di risultato.
In questo momento stiamo definendo un accordo con confindustria per poter rendere visibili e accessibili all’interno di un portale dedicato la pluralità di servizi che le cooperative del Consorzio possono offrire alle aziende e ai lavoratori. Questo percorso nasce all’interno di una collaborazione con Eudaimon, una società che offre a livello nazionale una proposta completa e integrata per il welfare aziendale. Segnalo anche i laboratori occupazionali che sono un’altra formula innovativa e integrata per portare le persone con disabilità all’interno di contesti produttivi con forti connessioni con il mercato. Le cooperative coinvolte hanno progettato percorsi integrati dove i destinatari, adeguatamente accompagnati possano sperimentare una pluralità di attività lavorative che si connettono con il tessuto produttivo valdostano e dunque con un forte orientamento al mercato. I nostri laboratori sono quattro: laboratorio di Sartoria, un negozio di abiti usati, un laboratorio di cucina e uno di serigrafia.

Un sogno cooperativo da realizzare?
E’ un sogno molto ambizioso cioè riuscire a riportare il lavoro in valle, e fare in modo che i giovani possano rimanere e investire nelle nostre organizzazioni.

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